Sulla Strada del Culatello, il Re della norcineria
Aggiornamento: 13 mag
C’era una volta il Maiale … creatura nobile e generosa …
Nelle terre della Bassa Parmense , il maiale rappresentava l’elemento centrale di un ecosistema secolare assai complesso se si pensa che anche la produzione del Parmigiano-Reggiano è legata al maiale: la scotta, uno dei derivati dalla lavorazione di questo formaggio, è storicamente fondamentale per la nutrizione dei suini. Dunque, il maiale era ed è l'animale per eccellenza: il Re della casa e della campagna, accudito e nutrito per tutto l'anno anche con i resti della tavola rurale e poi ucciso in un giorno tra novembre e dicembre che era una festa, una vera e propria cerimonia sacrificale officiata dal norcino, con una partecipazione estesa non solo alla famiglia ma anche a vicini di casa, amici e parenti. Tutto era nutrimento e sostentamento delle famiglie quando queste erano assai numerose.
È giunto fino ai nostri giorni un importante patrimonio iconografico ad opera di quei mastri scultori e pittori che lungo il percorso dei pellegrini verso Roma (la Via Francigena) hanno fatto viaggiare idee, stili e tradizioni. Si pensi, in primo luogo, ai rilievi di epoca romanica spesso disposti sulle facciate degli edifici religiosi che rappresentano il Calendario con i mesi tra Ottobre e Gennaio raffiguranti attività legate al maiale, come sul Duomo di Fidenza e il Battistero di Parma.
Quello della macellazione del maiale è un rituale cruento e apparentemente crudele, ma è anche un rito sacrificale solenne, immagine di abbondanza, però mai di spreco: del porco «non si butta via niente», dal sangue alla carne, dalle ossa alla cotenna.
I salumi prodotti dalla macellazione vengono ancora oggi sapientemente stagionati nelle vecchie e buie cantine delle case coloniche dove uomini esperti si tramandano i segreti di generazione in generazione e con l’aiuto delle nebbie che ci avvolgono per parecchi mesi all’anno si crea quel particolare microclima che trasforma le carni del nobile animale in salumi tanto speciali, non riproducibili in nessuna altra parte del Pianeta. Così, secondo antiche tradizioni secolari, segreti mai rivelati e tramandati di padre in figlio, è qui tra le sponde di due corsi d’acqua – il Po e uno dei suoi affluenti di destra, il Taro – che i maestri norcini della Bassa plasmano i capolavori della salumeria italiana. Dunque, gli straordinari ingredienti per la produzione di Culatelli, Spalle, Salami, Pancette, ecc. possono essere riassunti in quattro ordini di fattori:
1. le fitte nebbie che avvolgono il territorio per parecchi mesi all’anno e che garantiscono quella umidità e quel micro-clima che creano salumi inconfondibili per gusto ed aroma;
2. le vecchie, umide e buie cantine delle case coloniche (spesso con pavimento di terra cruda) che imprimono nei salumi appesi le loro antiche memorie;
3. la maestria del norcino dalle cui mani rugose e apparentemente rozze, ma abili e sapienti, nascono finissimi gioielli, accompagnando la lavorazione con movimenti e rituali incomprensibili ai profani e apparentemente inutili e, in ultimo ma non ultimo,
4. il maiale, ingrassato al punto giusto con tecniche naturali di allevamento collaudato da secoli di esperienza.
Il Culatello: il Re delle nebbie
Quando la coscia posteriore viene rifilata e privata dell’osso femore e della sua cotenna, la parte posteriore della massa muscolare (la culatta) viene trasformata in Culatello, dopo una serie di sapienti operazioni di salatura, insaccatura in una vescica naturale e legatura. Fra tutte le delizie dell’arte norcina, è indubbio che la palma del primato per rarità e prelibatezza spetta al Culatello, il cui segreto si dice sia racchiuso nella sua zona di produzione, vicino al grande fiume di casa nostra (il Po), dove la stagionatura è favorita da quello speciale microclima che va dalle leggere brume alle fitte nebbie autunnali, al freddo intenso invernale, fino alle estati afose, caldo-umide.
La prima comparsa iconografica del Culatello risale al 1691 in un disegno eseguito da un incisore bolognese del tempo, il quale individua in questo salume la specialità gastronomica di Parma. La prima citazione esplicita del Culatello, invece, è molto più tardiva: risulta in un documento del Comune di Parma redatto nel 1735, nel quale si riporta il termine «culatelli senz’osso». La ragione per cui il Culatello compare prima nell’iconografia che non in altri documenti scritti è verosimilmente da ricercare nell’eccessivo pudore degli antichi scrittori nei confronti del termine.
Diverse sono le testimonianze storiche che raccontano la straordinaria fragranza del Culatello. Per esempio, risulta che i marchesi Pallavicino (nobile casato della Bassa precedente a quello dei Farnese) ogni anno erano soliti inviare agli Sforza, duchi di Milano, parecchi esemplari di questo salume come «cosa rara et squisitissima». Grandi estimatori sono stati anche famosi personaggi come Gabriele D’Annunzio e, ovviamente, il Maestro Giuseppe Verdi, originario di Busseto, uno degli otto Comuni della Bassa compresi nella zona tipica di produzione del Culatello.
La preparazione del regale alimento deve iniziare a caldo, cioè, subito dopo la macellazione del maiale che nella produzione casalinga e artigianale avviene esclusivamente tra i mesi di novembre e febbraio per sfruttare le particolari condizioni climatico-ambientali della Bassa, ovvero, il periodo di massima frequenza e densità delle nebbie, assenza di vento, temperatura tra -2° notturna e +8° diurna. Si parte con l’enucleazione della massa muscolare della coscia posteriore, l’asportazione della sua cotenna superficiale e il parziale sgrassamento della carne, secondo una procedura indicata nel disciplinare del Consorzio di tutela di Tutela del Culatello DOP.
Queste operazioni eseguite a caldo hanno lo scopo di assicurare una lieve caduta di temperatura della carne ed una certa disidratazione da raffreddamento naturale (in gergo denominata sgasatura) che offrono un certo margine di sicurezza circa la conservazione delle carni prima e durante la salatura, oltre ad avere lo scopo di facilitare l’assorbimento del sale. Si procede quindi alla rifilatura (toelettatura) del Culatello, asportando il femore e il grasso in eccesso, pur lasciandone un certo spessore per mantenere più pastosa e meno salata la carne sottostante. Si passa quindi alla legatura, onde conferire al prodotto la caratteristica forma a pera. Alle operazioni di taglio segue la salatura: trascorsi alcuni giorni dalla salatura a caldo, il Culatello viene delicatamente massaggiato dalle sapienti mani del norcino ed eventualmente di nuovo salato. Dopo un breve riposo, si procede con l’operazione di investitura: il Re viene accuratamente asciugato, legato e investito, cioè, avvolto nella vescica del maiale o in quella di un bovino, oppure nella membrana di grasso che ricopre il polmone, di consistenza simile alla vescica.
Quindi, segue la sua lunga stagionatura che tradizionalmente è di almeno 18 mesi.
Anche il momento del consumo richiede una procedura di preparazione che, se viene eseguita con la necessaria dovizia, contribuisce ad accrescerne l’aroma e la fragranza.