Giovannino Guareschi: scrittore, giornalista e umorista
Aggiornamento: 10 nov
'Un uomo di difficili costumi'
Figlio di Lina Maghenzani - una maestra elementare, fervente cattolica nonchè monarchica convinta - e di Augusto, un negoziante di biciclette e macchine agricole con pessimo senso degli affari, Giovannino nasce il 1° Maggio 1908 a Fontanelle, una piccola località della Bassa situata in direzione di Busseto. La casa natale è anche sede della Cooperativa Socialista che, in occasione della Festa del Lavoro, ha organizzato un comizio. Quindi, sotto casa Guareschi si era radunata una folla di socialisti del luogo guidata da tale Giovanni Faraboli, un sindacalista molto attivo della zona, e figura perfetta per quello che sarà il memorabile personaggio di Peppone nei futuri racconti. Saputo della nascita del bambino, il Faraboli si precipita in casa della famiglia Guareschi, si affaccia al balcone che dà sulla piazza sottostante e, tenendo in braccio il piccolo neonato, annuncia orgoglioso: «Oggi è nato un nuovo compagno!» (mai profezia si è rivelata più falsa!). Il padre Augusto, per non essere da meno, dichiara: «Lo chiameremo Giovanni come te, amico mio. Anzi, per non fare confusione lo chiameremo Giovannino!» E con questo nome il neonato viene registrato all’anagrafe comunale. Diventato adulto, Guareschi spesso avrà modo di scherzare sul fatto che un omone della sua stazza sia stato costretto a portare il nome di Giovannino.
Terminate le superiori, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma (peraltro senza mai frequentare) ed entra nel Convitto Maria Luigia dove conosce Cesare Zavattini, un incontro decisivo per la sua futura carriera artistica e letteraria. Infatti, nel 1926 proprio Zavattini, allora capo-redattore della Gazzetta di Parma, lo chiama a lavorare per il giornale. Finito il servizio militare si trasferisce a Milano dove sempre Zavattini gli propone di entrare in un giornale umoristico, il Bertoldo. Si tratta di una rivista satirica che ben presto ottiene grande popolarità, di cui Guareschi diventa redattore capo, dopo l’uscita di Zavattini, incurante delle possibili reazioni del regime fascista allora dominante. Il Bertoldo chiude le pubblicazioni nel 1943 e nello stesso anno, dopo l’armistizio dell’8 settembre, Giovannino è catturato dai tedeschi e, anche per la sua dichiarata fede monarchica, viene deportato in Germania e internato per due anni in un campo di concentramento.
Durante la sua permanenza nel lager nasce il Diario Clandestino e collabora alla creazione di una radio che diventa la voce ufficiale degli IMI (Internati Militari Italiani), dato che le istituzioni italiane non si stavano affatto impegnando per rendere nota la drammatica storia di questi prigionieri. Si narra che a liberazione ormai avvenuta, dagli altoparlanti del lager sia stata diffusa una poesia il cui testo iniziava con le lettere dell’acronimo IMI (Italia Mia Italia), a sottolineare che il sogno di tutti gli internati sopravvissuti alla ferocia nazista era quello di tornare a casa dai propri cari.
Rientrato in Italia a guerra finita - e dopo non poche peripezie comuni a molti dei reduci IMI - nel 1946 fonda il Candido, una rivista satirica di cui cura personalmente numerose rubriche.
Alle elezioni del ’48 Guareschi si schiera per il partito della Democrazia Cristiana: suoi sono i più celebri slogan politici di quegli anni (per es.: «Elettore, nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no», e le famose vignette della serie «Contrordine Compagni…», oppure l’appellativo «trinariciuti» rivolto ai militanti comunisti dei quali sbeffeggia l’obbedienza «prona, cieca e assoluta» alle direttive del partito (la terza narice sarebbe servita da via di scarico per la materia grigia e di accesso per le direttive del Partito). Proprio per le celebri vignette del «Compagno con tre narici», il leader del PCI Palmiro Togliatti durante un comizio lo apostroferà definendolo «tre volte idiota moltiplicato tre» (per tutta risposta, Guareschi farà sapere di considerare questa espressione un «ambìto riconoscimento»).
Il giornalista, il disegnatore satirico, il polemista brillante e autoironico lasciano spazio anche al narratore: nel 1946 nasce così Mondo Piccolo, teatro e sfondo delle imprese di due memorabili personaggi: don Camillo e Peppone. È un piccolo specchio in cui si riflettono i tormenti dell’Italia di allora, con le torbide storie narrate da tempo immemorabile nei casolari, i drammi e le sofferenze della guerra e l’ancor più cruda guerra civile. Così prende vita la saga di Don Camillo e Peppone, figure contrapposte di due tipiche anime dell'Italia post-bellica: Don Camillo, infatti, rappresenta la figura del prete di campagna, antifascista furbo e rispettoso dello status quo, mentre Peppone è un sindaco comunista ortodosso, piuttosto petulante, ma fondamentalmente buono.
In definitiva, possiamo dire che Guareschi riflette in don Camillo e Peppone una sorta di teologia della speranza e insieme rappresentano la sintesi del suo profondo senso cristiano che non diventerà mai clericalismo, tanto che alla moltitudine di clericali di quel tempo non piacerà affatto. E così, alle critiche che regolarmente gli giungono dai comunisti di allora, si aggiungono le prese di distanza dei moderati, nonostante i chiarimenti circa il suo pensiero espressi in varie occasioni: «Noi non apparteniamo a nessun ismo. Abbiamo un’idea, sì, ma non finisce in ismo. La cosa è molto semplice: per noi esistono al mondo due idee in lotta: l’idea cristiana e l’idea anticristiana…».
I romanzi che vedono come protagonisti i suoi due personaggi attribuiscono a Guareschi una impareggiabile popolarità anche per merito delle trasposizioni cinematografiche: egli diviene lo scrittore italiano più letto del mondo con venti milioni di copie vendute e traduzioni in quaranta lingue, compreso l’eschimese. Il suo stile immediato e scanzonato, sfottente ma anche indulgente, favoriscono un prodigioso boom editoriale senza precedenti.
I cinque film tratti dall'opera di Guareschi sono stati girati nei territori intorno a Brescello, per questo motivo divenuto universalmente noto come "il paese di Don Camillo".
Guareschi ha dimostrato di saper cogliere lo stato d’animo, le inquietudini, i conflitti interiori, le grandi meschinità e i piccoli eroismi non solo dei fedeli di don Camillo e dei compagni di Peppone, ma dell’uomo in genere, al di là di qualsiasi ideologia o classe sociale. Ma, a fronte del grande successo popolare, lo scrittore ha dovuto subire fino alla morte l’ostracismo della critica ufficiale e della cultura progressista, soprattutto per quella semplicità-ingenuità di linguaggio un po' naif che pervade i suoi scritti. Per esempio, l’Unità (organo ufficiale del PCI) liquiderà l’annuncio della sua morte con questo perfido e lapidario epitaffio «È morto uno scrittore mai nato». In quegli anni, infatti, pochi hanno compreso che non si trattava di un sempliciotto ma di «un uomo di difficili costumi», come disse di sé stesso alludendo al suo irriverente anticonformismo combinato alla sua intransigente moralità che, tuttavia, non era sciocca rigidità puritana, ma recava su di sé lo sguardo della misericordia, della pietas: «Così sono nati il mio pretone e il mio grosso sindaco della Bassa....Chi li ha creati è la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l'alfabeto».
Dietro l'umorista si è sempre nascosto un uomo che ha dovuto soffrire disagi, umiliazioni, dolori e tradimenti. Infatti, molti tra i suoi più toccanti racconti sono, in realtà, trasposizioni di fatti reali che hanno inciso la sua anima fin nel profondo. Ne sono un esempio le due amare esperienze carcerarie. Nel 1950 è condannato a 8 mesi di carcere per vilipendio al Presidente della Repubblica Einaudi (l’accusa parte dalla pubblicazione di alcune vignette in cui è messo in risalto il fatto che Einaudi, sulle etichette del Nebbiolo di sua produzione, amasse ricordare la sua posizione di carica più altra dello Stato). Nel 1954 subisce una condanna ancor più dura della precedente per diffamazione dell’allora leader della Democrazia Cristiana Alcide De Gasperi, con il pretesto di avere pubblicato lettere compromettenti, nelle quali si suggeriva agli Alleati l’opportunità di bombardare Roma; dopo un processo con parecchi punti discutibili (in pratica, le uniche prove accettate sono state le dichiarazioni di De Gasperi che affermavano l’assoluta falsità delle lettere), Guareschi sconta 409 giorni di detenzione nel carcere San Francesco di Parma, da dove ne esce provato e in cattive condizioni di salute. Nel 1957 realizza una sua antica passione aprendo un piccolo caffè a Roncole di Busseto, proprio a fianco della casa natale di Giuseppe Verdi. Per quei tempi, il Caffè Guareschi è stato forse l’unico locale pubblico al mondo dove in vetrina aveva fatto bella mostra il cartello «In questo locale non c’è juke-box».
Nel 1961, colpito da un primo infarto, si convince a chiudere il Candido e per alcuni anni continua a collaborare con giornali e riviste, anche in precarie condizioni di salute. Nel 1968, colpito da un secondo infarto, mentre si trova a Cervia, Giovannino Guareschi se ne va silenziosamente, lasciando un mondo in cui si riconosce sempre meno. I suoi funerali sono disertati da tutte le autorità: tra i personaggi di rilievo presenti per l'estremo saluto si contano solamente Enzo Biagi, Enzo Ferrari e l’amico di una vita Baldassarre Molossi. Le sue spoglie vengono tumulate nel piccolo cimitero di Roncole. Solo post-mortem e in tempi piuttosto recenti, il pensiero e le opere di Guareschi sono stati ampiamente sdoganati. La rivista Life, ad esempio, ha riconosciuto il suo fondamentale contributo definendolo (forse in modo un poco superficiale) «il più abile ed efficace propagandista anticomunista in Europa».
NB: per una più precisa e dettagliata documentazione sulla biografia di Giovannino Guareschi si invita a consultare il website ufficiale https://www.giovanninoguareschi.com/
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