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PARMA: viaggio nell'arte dal romanico al manierismo

Aggiornamento: 28 dic 2023

I capolavori di Antelami, Correggio e Parmigianino

La Cattedrale di Parma – dedicata a Santa Maria Assunta – è da oltre 900 anni un luogo di arte, storia e sacralità. Qui sono custoditi stupendi bassorilievi di Benedetto Antelami (oltre a svariate testimonianze dell’arte romanica), e grandiosi affreschi di Antonio Allegri detto il Correggio, ma anche quelli di artisti meno celebri ma di grande talento come Girolamo Mazzola-Bedoli (cugino del più famoso Francesco Mazzola detto il Parmigianino) che dal 1555 al 1557 affresca i 1200 metri quadrati della volta della navata centrale, comprese le quattordici lunette con le figure dei profeti, le sette crociere corrispondenti e il catino col Giudizio Universale. Da non dimenticare, infine, l’imponente ciclo affrescato di Lattanzio Gambara che occupa completamente le due pareti della navata centrale. Entrare in questo luogo, dunque, significa vivere la fede, aprirsi all’arte e avvicinarsi a uno dei più preziosi tesori della Città.

In seguito ad un incendio che nel IX secolo distrusse l'antica basilica paleocristiana, sotto l'episcopato di Guibodo vennero avviati i lavori di ricostruzione della chiesa madre di Parma, in un sito poco distante da quello dell'antica chiesa e nell'890 la Cattedrale assume il titolo di Domus.

Un grave incendio avvenuto tra il 1055 e il 1058 comportò imponenti lavori di ricostruzione avviati dal vescovo Cadalo, divenuto papa Onorio II e antipapa dal 1061, e terminati nel 1074.

Nel 1178 fu completata l'ampia facciata a capanna, e l’architettura dell'intero edificio a tre navate fu rivista e controllata da Benedetto Antelami, anche a seguito dei danneggiamenti conseguenti ad un violento terremoto.

La torre campanaria in stile gotico fu ricostruita per ordine di Obizzo Sanvitale tra il 1284 e il 1291. Era prevista la costruzione di un altro campanile, gemello del primo, alla sinistra della facciata, mai realizzato.

A partire dal XV secolo vennero aggiunte cappelle laterali dove sono conservati affreschi di notevole interesse artistico.

Benedetto Antélami (1150? - 1230?)

Pochissime sono le notizie biografiche di questo straordinario artista del periodo di transizione tra l'arte romanica e quella gotica e punto di riferimento per la scultura italiana del Duecento. Forse originario della Val d'Intelvi (in Lombardia), fu attivo solo nell'area di Parma dal settimo decennio del XII secolo al terzo decennio del XIII. La ricostruzione dei dati biografici dell'Antelami, la sua origine, la formazione artistica e le vicende professionali che lo avrebbero visto operare come scultore e architetto, si appunta sulle uniche due iscrizioni datate che l'artista ha lasciato a Parma: quella del 1178 sulla Deposizione dalla Croce (Benedictus Antelami dictus) e quella del 1196 sull'architrave del portale nord del Battistero (Benedictus)

Il bassorilievo con la Deposizione dalla Croce situata nel duomo della città (firmato e datato 1178) è la prima opera nota di Benedetto Antelami.

Originariamente il bassorilievo era destinato a decorazione dell’ambone (una sorta di pulpito dal quale un tempo veniva proclamata la parola di Dio) che definiva l'area presbiteriale insieme all'altare maggiore e alla cattedra episcopale.

Basato sul racconto del Vangelo secondo Giovanni, il bassorilievo rappresenta il momento in cui il corpo di Cristo viene calato dalla croce, con vari elementi tratti dall'iconografia canonica della Crocifissione (i soldati romani che si contendono la veste di Cristo, le personificazioni dell'Ecclesia e della Sinagoga, ecc.) e della Resurrezione (le tre Marie). Si possono leggere in questo lavoro i principali riferimenti culturali dell'Antelami: la cultura del primo gotico francese nella forma delle figure, le iconografie e i partiti decorativi di origine classica nella personificazione del sole e della luna e nelle rosette che ornano il bordo superiore. Classico è anche l'ornato a racemi della fascia che orla la composizione, eseguito con la tecnica orientale della incrostazione a mastice (niellatura).

Una maggiore attenzione al dato reale allontana le forme di Benedetto dalla tradizione del romanico, spingendole ulteriormente nella direzione di una apertura al gotico. La capacità compositiva dello scultore mantiene il movimento e il ritmo della scena entro equilibri adatti a una espressione composta del dolore.

Nel 1196 l'Antelami intraprese l'opera sua più significativa: la costruzione e la decorazione plastica del Battistero, cui lavorò per circa due decenni. Il complesso programma iconografico si concentra nella decorazione, all'esterno, dei tre portali principali e, all'interno, delle lunette e nelle figurazioni dei mesi e delle stagioni situate nel primo ordine delle gallerie.


Correggio (1489? – 1534)

Antonio Allegri, detto il Correggio, nacque nella omonima cittadina in provincia di Reggio Emilia, non lontano da Parma, intorno al 1489. Sappiamo che la famiglia del padre era originaria di Firenze, ma scarse sono le notizie sui primi anni di vita e sulla sua formazione. Sembra che inizialmente possa essere stato allievo di alcuni pittori locali tra i quali uno zio ed un cugino.

Entro il 1506 fu a Mantova, dove forse aveva fatto appena in tempo a conoscere l'anziano Andrea Mantegna (pittore di corte presso i Gonzaga). In ogni caso a Mantova il Correggio poté ammirare le opere del grande maestro, restando affascinato soprattutto dagli effetti illusionistici della Camera degli Sposi. Incaricato di decorare la cappella funeraria dell'artista, morto nel 1506, vi creò un finto pergolato in cui si intravvedono gli interessi per la dilatazione illusoria dello spazio, sviluppata successivamente nei suoi capolavori dell'età più adulta. Inoltre, è indubbio che il giovane Correggio accolse suggestioni leonardesche, mentre da Raffaello acquisì il gusto per le forme monumentali, e, nel segno di una grandissima apertura culturale, fu anche partecipe dell'esperienza di artisti veneziani come Cima da Conegliano, Giorgione e Tiziano.

Giorgio Vasari, primo biografo del Correggio, racconta che la morte dell'artista sarebbe avvenuta successivamente ad un estenuante viaggio a piedi da Parma, sotto il peso di un enorme sacco di piccole monete da un quattrino (per un totale di 60 scudi). Ma questa è una leggenda che non regge all’analisi dei fatti e delle fonti e che, tuttavia, rende alla perfezione le incertezze e le difficoltà di una ricostruzione precisa e completa della vita di questo straordinario artista.

Camera di San Paolo (detta anche Camera della Badessa)

Nel 1520 Correggio matura una delle più alte e complesse realizzazioni: chiamato a Parma da Giovanna da Piacenza, badessa del Monastero benedettino femminile di San Paolo, qui vi realizza la decorazione di una piccola sala (forse sala da pranzo?) nota come la Camera di San Paolo (Camera della Badessa). La riflessione sui modelli antichi, che solo un suo soggiorno romano può spiegare, è qui evidentissima, come pure il raffinato ambiente culturale della committenza intorno a cui gravita. Nonostante numerose proposte interpretative, ancora oggi i reali significati dell’affresco rimangono nascosti e irrisolti: uno dei più affascinanti misteri iconografici del Rinascimento italiano.

Cupola dell'Abbazia di San Giovanni

A seguito del successo ottenuto per il lavoro della Camera della Badessa, Correggio venne immediatamente arruolato a Parma per un'altra ambiziosa operazione pittorica: la decorazione della cupola dell'Abbazia di San Giovanni Evangelista. La tematica alla base del dipinto è la visione del secondo avvento di Cristo avuta da San Giovanni sull'isola di Patmos, così come è descritto nell’Apocalisse: “Eccolo venire sulle nubi, e così lo vedrà ogni occhio...”.

Non abbiamo testimonianze di quale fu la reazione della committenza e del pubblico a questa innovativa opera del Correggio che inaugura la libertà illusionistica tipica dell’arte barocca. Tuttavia, a giudicare dal fatto che nel 1526 l'artista ottenne il compito di affrescare la cupola del vicino Duomo di Parma, si può credere che il lavoro avesse riscosso un elevato successo. Infatti, fu probabilmente la decorazione della cupola di San Giovanni Evangelista a sancire l'affermazione della fama del Correggio a Parma.

Cupola del Duomo di Parma

Nel 1524 circa, dopo il termine dei lavori in San Giovanni, Correggio concepì la sua decorazione affidandosi, come già aveva fatto in San Giovanni Evangelista, a un illusionismo libero da partiture geometriche, che va ben oltre la possibile influenza di Mantegna il quale, da artista quattrocentesco, circoscriveva i propri personaggi entro un rigoroso schema geometrico.

Correggio organizzò lo spazio dipinto intorno a un vortice di corpi in volo che crea una spirale mai vista prima, in cui l'architettura viene annullata dall’eliminazione visiva degli angoli e della struttura muraria: i personaggi infatti, più che sembrare dipinti sull'intonaco, per un eccellente equilibrio sembrano librarsi in aria in uno spazio infinito.

Si ritiene che l'opera non sia stata portata a termine nella sua interezza come voleva il contratto iniziale: Correggio, infatti, lavorò solo alla cupola, interrompendo il lavoro nelle altre superfici del presbiterio. Si è pensato che questa presunta interruzione dei lavori fosse dovuta ai dissapori sorti fra il Correggio e i fabbricieri della Cattedrale suoi committenti. In effetti esistono alcune testimonianze sul fatto che gli affreschi della cupola del Duomo non avessero riscosso particolare successo. Una di queste è una voce, non meglio documentata che racconta come circolasse un commento sarcastico sull'opera definita “un guazzetto di zampe di rane”. In effetti, al di là della presenza di tanti corpi nudi (alcuni dei quali studiati in splendidi disegni a matita rossa), gli affreschi del Correggio nel cuore religioso e ideologico di una Cattedrale non risultavano facilmente leggibili.


Parmigianino (1503 – 1540)

Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, è stato un esponente fondamentale della corrente manierista e della pittura emiliana in generale. Il soprannome, oltre che dalla città di origine, gli derivò non tanto dalla sua corporatura minuta e dall'aspetto gentile, quanto dalla sua eccezionale precocità.

La famiglia del Parmigianino viveva in “Vicolo delle Asse”, oggi rinominato "Borgo del Parmigianino". Anche il padre Filippo e gli zii erano pittori di un certo talento, ma soprattutto abili nel crearsi una loro piccola fama locale. Proprio gli zii, infatti, alla precoce morte del padre Filippo (avvenuta secondo il Vasari nel 1505 per un'epidemia di peste) si presero cura del piccolo Francesco e lo avviarono allo studio del disegno e della pittura nella loro fiorente bottega.

Inizialmente influenzato dallo stile di Correggio, Parmigianino mostra di sapersene distaccare non appena riceve la sua prima commissione importante: gli affreschi per la chiesa di San Giovanni Evangelista (1521-1524). Benchè giovanissimo, il repertorio cui attinge e la sicurezza con la quale dipinge sembrano già denotare una spiccata personalità. Oltre che come ritrattista, Parmigianino è anche noto come eccellente incisore e, soprattutto, è considerato il primo grande interprete in Italia della tecnica dell’acquaforte. Le incisioni tratte dalle sue opere contribuirono a diffondere il suo stile e la sua fama in tutta Europa.

Sicuramente Parmigianino fu uno dei pochi ad aver potuto osservare la Camera di San Paolo finché fu in vita la badessa Giovanna Piacenza, forse in qualità di aiuto di Correggio, forse come semplice visitatore. Pochi anni dopo infatti il monastero parmense veniva posto sotto una più rigida clausura che lo occulta al pubblico fino al Settecento. Dunque, memore degli scorci prospettici operati da Correggio, poco più che ventenne, Parmigianino perfeziona il suo stile pittorico, costruito su colori cangianti e algide forme allungate, negli affreschi della Saletta di Diana e Atteone eseguiti nella Rocca di Fontanellato su commissione del conte Galeazzo Sanvitale. Gli affreschi di Fontanellato sono oggi tra le opere più apprezzate del Rinascimento e rappresentano il mito di Diana e Atteone raccontata nelle “Metamorfosi” di Ovidio. La piccola sala decorata dal Parmigianino è stata oggetto di molteplici studi, e sono state avanzate ipotesi differenti circa il suo utilizzo: c’è chi ne intravvede l’uso come sala da bagno (che ben si coniuga con il tema del "bagno di Diana"), oppure come ambiente legato agli interessi alchemici di Galeazzo Sanvitale. Ma l’ipotesi più convincente è la teoria che la vede come luogo di meditazione e di preghiera per la morte del piccolo figlio del conte Galeazzo e della moglie Paola Gonzaga, avvenuta soltanto pochi mesi prima in circostanze misteriose. Ed è al bambino e alle presunte colpe della madre che sarebbe stata dedicata questa straordinaria, ermetica stanza affrescata nella quale la contessa Paola, nella finzione pittorica, assume gli attributi di Atteone, il cacciatore che s’imbatte malauguratamente in Diana e nelle sue Ninfe, venendo per punizione trasformato in cervo e poi sbranato dai suoi stessi cani. Vi è da dire che la corte dei Sanvitale a Fontanellato fu indubbiamente un centro culturale ed artistico molto attivo e forse fu proprio qui che il giovane artista Parmigianino venne a contatto con un ambiente stimolante e dedito alle pratiche alchemiche.

Nel 1523 Parmigianino si reca a Roma, dove è ricevuto da papa Clemente VII: qui si inserisce attivamente nella cerchia degli allievi di Raffaello. Tra le opere del periodo romano spicca il celebre e inquietante Autoritratto allo specchio convesso, donato dall’autore a Pietro Aretino e oggi conservato a Vienna.

Tra il 1530 e il 1535, il Parmigianino porta a compimento quella sua originalissima poetica di astrazione formale inaugurata anni prima. È di quel periodo, infatti, il ritratto di gentildonna detto la Schiava turca, il ritratto dell’artista tra i più espressivi, oltre che dei più noti. La maliziosa sensualità del soggetto è esaltata dallo sguardo fisso verso l'osservatore, dal sorriso ambiguo e dalla sapienza compositiva dei ritmi curvilinei che ne incorniciano la figura. Il titolo di Schiava turca è legato al particolare copricapo che venne visto come un turbante, ma in realtà si tratta di un'acconciatura tipica delle nobildonne del ‘500.

Dopo un periodo trascorso a Bologna, nel 1531 Parmigianino torna a Parma dove riceve l’incarico per la decorazione della basilica di Santa Maria della Steccata. A detta di Vasari, dopo un inizio pieno di entusiasmo, l’artista comincia a trascurare la pittura per dedicarsi con crescente passione agli studi di alchimia, inseguendo il sogno di trasformare il mercurio in oro. Il risultato di questa mancanza di concentrazione artistica è che il Parmigianino non riesce più a trovare ispirazione per le opere di cui era incaricato da oltre otto anni. Infatti, riesce a concludere soltanto il grande affresco nella volta del presbiterio (Tre vergini sagge e tre vergini stolte), ma il compito decorativo della basilica della Steccata non fu mai portato a termine.

Illuminanti sulla sua condizione psico-fisica di quegli anni sono i vari cambi di residenza e il definitivo abbandono della casa di famiglia, tanto presente nella prima parte della sua biografia. Nessun documento spiega questa vicenda privata dell’artista: scartate le ipotesi di una controversia economica o politica, potrebbe essersi trattato di uno "scandalo", magari legato alla pratica dell'alchimia di cui parla Vasari, oppure, come sembrano suggerire alcuni indizi, della scoperta della sua omosessualità.

Il 3 giugno 1538 - dopo circa 8 anni dal conferimento dell'incarico - la Confraternita dei Fabbricieri della Steccata intimò la restituzione di 225 scudi per inadempienza. Ottenuta una nuova proroga fino al 26 agosto 1539, ma non conclusi ancora i lavori, la Confraternita fece ricorso alle vie legali con il risultato che il Parmigianino fu incarcerato per quasi due mesi.

Dopo la scarcerazione, il pittore fuggì in tutta fretta a Casalmaggiore, cittadina appena al di fuori dei confini dello Stato parmense, oggi in provincia di Cremona. Per sopravvivere, l'artista dipinse per la chiesa locale una Pala d'altare in cui sono raffigurati santo Stefano, san Giovanni Battista e la Vergine col Bambino, oggi esposta a Dresda.

Nell’agosto 1540 l'artista si ammalò (molto probabilmente di peste) e fece testamento, lasciando eredi i suoi tre servitori ancora minorenni, e 100 scudi alla sorella Ginevra. Preso da "una febbre grave e da un flusso crudele" (come scrive Vasari), nel giro di qualche settimana morì all’età di 37 anni.

Volle essere sepolto nella piccola Chiesa de' Frati dei Servi (oggi Santuario della Beata Vergine della Fontana) in località Fossacaprara che dista un paio di chilometri da Casalmaggiore, lungo la strada che porta a Sabbioneta. Come da sue disposizioni, Parmigianino fu sepolto nudo, con una croce in legno di cipresso sul petto, secondo l'uso francescano. Non risulta con certezza che il corpo sia veramente sepolto in quel luogo preciso, perché sinora non si sono fatti sondaggi per scoprire la salma. Alcuni studiosi sostengono addirittura che il celebre pittore – in quanto morto di peste – possa essere stato sepolto sul sagrato della chiesa, in una fossa comune assieme ad altri appestati.

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